venerdì 28 agosto 2015

Mediterraneo, Salento e Matera: resoconto di un viaggio

Troverò pure qualcosa da scrivere...
Il rumore del treno sulle rotaie somiglia a quello del battito cardiaco, ci avete mai fatto caso? Col diminuire dei chilometri verso la meta prestabilita, il mio ha iniziato ad aumentare di frequenza.
Mediterraneo e Salento quindi, ovvero mare e deserto, onde e terra spaccata dal sole, due ambienti del tutto antitetici, eppure così simili e vicini.
Realtà desertificate come lo sono gli spazi lontani dalle grandi città a cui siamo abituati. È stato bello vedere che in qualche angolo persiste ancora quest'aura inconsueta; anche se è ridotto a un flebile luccichio, qualcosa per ora forse resiste.
Una volta arrivate in Salento, ad accoglierci troviamo l'incessante frinire delle cicale, sempre presente; colonna sonora sgorgata dai rami degli alberi come fosse resina.
Abbiamo trascorso alcuni giorni tra Gallipoli, Martina Franca e Alberobello, fra ore interminabili in attesa del treno tra una sosta e l'altra e, una volta in carrozza, passate a fissare le distese di ulivi che affondano le loro radici nella terra rossa.
Ma io, in realtà, è di Matera che voglio parlare, il motivo che mi ha spinta a partire.
Matera, Matàhr per coloro che la abitano, ti riempie gli occhi fino a far male.
I sassi risplendono al sole di luce bianca e accecano dopo un po' che li si guarda, ma è difficile mollare la presa. Quando inizi a sentir bruciare le pupille, le butti idealmente a bagnarsi nell'acqua della Gravina giù di sotto, il torrente che divide in due la città, poi torni a fissare.
Questo corso d'acqua è ciò che squarcia anche il "canyon".
Da qualsiasi angolo della città ci si possa affacciare, davanti si spalanca l'arido strapiombo, ricoperto di arbusti secchi; uno stormo di rondini cade giù in picchiata lungo il precipizio, passandoti prima così vicino da spostarti i capelli e sentirle sbattere le ali. Il leggero senso di smarrimento ha a che fare con la natura stessa del posto, per anni abbandonato a se stesso. 
Un mese prima di partire, avevo comprato Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. La curiosità per il libro è nata quando ho letto nell'opera autobiografica di Miriam Mafai, ex-militante del PCI, parlare delle condizioni del Sud Italia prima degli anni '50/'60, citando passi del testo di Levi. La Legge del 1952 ha permesso il risanamento del rione dei Sassi e da quel giorno è cambiato tutto.
Matera sarà anche stata la vergogna d'Italia, eppure in quelle case/grotte scavate nel tufo si avverte qualcosa di magico. Alcuni oggetti sono stati conservati e, accanto ad un vecchio specchio ossidato, c'è ancora la fotografia in bianco e nero dell'ultima coppia che ha vissuto in una di quelle cave, prima dello sfollamento; un'unica immagine su carta carbone ha immortalato la coerenza dei loro volti, la loro storia e dignità alla prova del tempo.
Il giorno dopo, sotto il sole cocente già alle 10 del mattino, ci inerpichiamo sui gradini che conducono alla Cattedrale, in cima al Sasso Barisano.
A tutto ciò che vedo si sovrappongono i fotogrammi del Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Alla fine di una malconcia e polverosa scalinata, c'è un poster disegnato a mano che ritrae il regista a grandezza naturale. L'uomo morto che tiene fra le braccia, in un gesto di Pietà laica, non riesco a capire chi sia, se un contadino del luogo, un personaggio di uno dei suoi film oppure se stesso, ma immagino sia un rimando al mondo pre-industriale.
Credo che della loro salma non possa che rimanere un vuoto incolmabile.
Un incidente involontario, provocato da qualche passante, ha mutilato la carta del disegno, uno strappo bianco ne cancella per sempre una parte. Aver deciso di tenerlo così è forse un monito? Un gesto di resa? Non sembrerebbe essere la seconda; gli anziani materani difendono ancora alcune usanze di una vita passata, insieme a memorie che davanti agli "stranieri" si impegnano a tradurle in racconti. Su di me, penso si sia capito, hanno lasciato un segno indelebile.

Ho caricato alcune foto in questa pagina.