domenica 24 gennaio 2016

Rovine, passaggio al contrario della vita

Tira giorno da questi due vetri che non regalano mai l'alba.
Al buio faccio mucchietto con le briciole dei biscotti e, mentre spolvero con gesto assente e automatico, pulisco anche quella caliginosa soffitta che è la mia testa. Un'oretta, prima di farmici scendere sopra un altro tipo di pulviscolo, materiale.


Un grande organismo rantola faticosamente.
Gabriele Basilico vedeva invece, la città, come un corpo che respira.
Davanti, lo stato di abbandono di costruzioni e opifici, regrediti ad anonimie geografiche.
Una macchina fotografica può forse sfruttare in senso lirico questi luoghi infernali e fantasma, lascio dunque trasparire il senso di appartenenza che qualcuno ha ancora nei confronti di questi spazi liminari, paesaggi che hanno assunto le trasformazioni - che su di loro sono ferite - del processo storico a volte estraneo a questi edifici/palcoscenici, i cui sipari anche allora son rimasti chiusi a nasconderne gli attori.
Una sola mossa può incaricarsi di riscattare il presente a partire dal passato, saldando il divario creatosi tra queste due temporalità attraverso una serie di immagini, esigenze che legano alla cosa ritratta. Il sentimento d'amore e la rabbia per questi posti interiorizzati, posti che sono soprattutto altrui ricordo, prendono corpo e prenderanno poi corpo su una stampa baritata o politenata che sia, da regalare. Dentro l'architettura di muri scrostati e scalcinati, quando più nessuno è attorno, il silenzio si fa grido, che il vuoto e la sua eco amplificano, e la mia apparente quiete credo risuoni altrettanto forte.

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