martedì 2 agosto 2016

Casa-museo di Giorgio Morandi

Dieci minuti a piedi. Sempre dritto per via Orfeo e svoltare a sinistra una volta arrivati davanti ai murales dell'ex caserma Masini occupata da Làbas: via Fondazza 36.
Il portone è chiuso, c'è un vecchio batacchio che non riesco a decidermi di bussare, poi ripiombo negli anni duemila, cerco e trovo un citofono (non che ai primi del '900 non esistesse già).

Tutto è tenuto al sicuro dietro teche di vetro. Vedo le bottiglie, l'una stretta all'altra, uniche donne della sua vita, oltre a quelle di famiglia. Sensuali madonnine sagomate. Lunghi colli che ti aspetti possano inclinarsi all'improvviso da un lato, a squadrarti di rimando, e poi giù, imponenti curve, grossi fianchi matriarcali. C'è chi ci vede la Vergine del polittico di Piero della Francesca, io, in tutta onestà, scorgo molto più Modigliani.
Essenzialità, pudore delle forme semplici. Morandi concepiva quadri che ancora non avevano tela sul cavalletto, aprendo e chiudendo gli scuri, studiando come appaiono le cose quando se ne stanno immobili e si lasciano accarezzare inermi dalla luce. Una volta trovata la disposizione, con la matita, dei suoi soggetti ne contornava le basi sul tavolo e lo stesso faceva ai suoi piedi, a terra, per ritrovare, sostituita la mina col pennello, l'esatta angolazione di sguardo.
Conto i giorni per potermi trovare a Grizzana, sull'appennino bolognese, e vedere ciò che oggi ho avuto davanti anche attraverso gli occhi di Luigi Ghirri, di cui sono follemente innamorata.





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